Quando si scoprì la penicillina, i medici furono talmente entusiasti che il farmaco venne diffuso in fretta in tutti gli angoli del mondo, dove le infezioni batteriche croniche ancora si curavano al massimo con l’amputazione, la causticazione, o qualunque sostanza che si presumeva potesse avere una piccola azione antibatterica, in ultima analisi, quando ormai il paziente era entrato in sepsi, non si poteva fare altro che chiamare un prete, nel disperato tentativo di convincere la malattia ad andarsene con un miracolo.
L’esagerato uso della penicillina però ha portato molti batteri ad abituarsi progressivamente a questa sostanza, così oggi si parla di farmacoresistenza, intendendo la capacità di alcuni ceppi batterici molto virulenti di tollerare l’azione distruttiva del farmaco.
Uno dei meccanismi di resistenza dei batteri nei confronti degli antibiotici consiste nel porsi in uno stato di quiescenza, come se entrassero in letargo, in questo modo il farmaco non può competere con i meccanismi metabolici del microrganismo in quanto sono disattivati, riprendendo la loro attività in quanto l’effetto antibiotico svanisce.
Nonostante le continue ricerche chimico-farmacologiche, il semplice accorgimento di aggiungere un po’ di zucchero (in particolare glucosio e fruttosio), al farmaco, può stimolare il risveglio dei batteri quiescenti, stimolando l’attivazione di quei meccanismi metabolici bersaglio diretto degli antibiotici.
Questa almeno è la promessa di un gruppo di ricercatori di Boston, che dopo aver effettuato esperimenti, per il momento soltanto sugli animali, hanno messo in luce una migliore risposta nei confronti di infezioni da Escherichia coli, streptococchi, stafilococchi, inoltre, gli ottimi risultati nei confronti del bacillo tubercolare lasciano sperare un passo in avanti nella guerra contro la tubercolosi, che ancora oggi, soprattutto nel terzo mondo, fa moltissime vittime.
Fausto Ciulla